LA STORIA DELL’OLIO EVO

Senza la potenza dell’archeologia, dell’arte e della storia, oggi rimarrebbe difficile tracciare la linea temporale dell’olio d’oliva. I suoi usi, la sua espansione e la sua popolarità in era antica è nota grazie all’arte sopravvissuta.

Le Origini dell’olio d’oliva

Si presume che l’origine dell’olio di oliva risalga al 4000 a.C. per mano di Armeni ed Egiziani, poi di Assiri e Babilonesi. I primi ritrovamenti archeologici riguardanti l’utilizzo e l’importanza dell’olio arrivano proprio dalla terra dei faraoni. Siamo nel XIV secolo a.C. Nella tomba di Tutankhamon gli scavi hanno riportato alla luce alcuni affreschi raffiguranti vasi di olio e rami di ulivo, lampade alimentate ad olio e ghirlande d’ulivo. Due secoli più tardi simili affreschi sono stati rinvenuti nella tomba di Ramsete III, faraone che stando ai documenti avviò la prima coltivazione di ulivi per offrire olio sacro al dio Ra. In Egitto l’olio godeva degli usi più disparati. Materia dei ceti più ricchi, veniva impiegato anche per le mummificazioni, le preparazioni aromatiche, la dermocosmesi e il benessere del corpo in generale. Una sorta di status symbol. 

Sempre del XIV secolo a.C. risultano essere i reperti archeologici custoditi nelle case e nelle Tombe di Micene del Peloponneso. Noccioli di oliva, anfore olearie e mortai fanno intuire come la cultura dell’olio fosse parecchio estesa su tutto il territorio.

L’intensificazione avvenne nel V secolo a.C. L’oro liquido, così chiamato da Omero, nell’antica Grecia era il protagonista di rituali sportivi. Le raffigurazioni sugli ariballi (piccoli vasi da allacciare al polso e contenenti olii) evidenziano come i lottatori si cospargessero il corpo di olio prima e dopo i combattimenti. Spesso nel farlo utilizzavano degli appositi attrezzi. Sempre parlando di sport, i vincitori di gare e competizioni venivano solitamente incoronati da ghirlande d’ulivo e alla corsa dei carri, il più prestigioso dei Giochi Panatenaici, il primo premio corrispondeva a 140 anfore colme d’olio d’oliva.  

La tutela degli ulivi all’epoca era essenziale. Sradicarne un albero significava vedere i propri beni confiscati o addirittura essere uccisi. Questo perché nella mitologia greca l’ulivo è il dono di Atena agli uomini.

In quanto all’uso alimentare, si cominciava a strizzare l’occhio alla qualità. A seconda della città di produzione vi erano anfore differenti sia per forme che per decorazioni. Atene poteva affermarsi una delle migliori produttrici di olio e la forma a “SOS” delle sue anfore ne validava l’autenticità.

L’olio d’oliva in Italia

I greci diffusero l’olio nel Mediterraneo, i romani allargarono le coltivazioni su tutto il loro impero. A partire dal 580 a. C. l’olio d’oliva del Nord Africa, della Spagna, della Sicilia e della Puglia cominciò ad arrivare a Ostia per via marittima e da lì a Roma risalendo dal Tevere. Delle 50 milioni di anfore che formano il Monte Testaccio, anche detto Monte dei Cocci, la maggior parte sono anfore olearie. Su ogni anfora sono state ritrovate incise informazioni sul contenuto, il nome dell’esportatore, la data di spedizione e il luogo di provenienza. Fonti preziose per ricostruire la storia del commercio di Roma ed il suo olio.

Sempre ai romani sono attribuite le prime classificazioni delle diverse tipologie di olio: dal più pregiato, ricavato da olive verde chiaro, fino agli scarti destinati agli schiavi, derivanti dalla spremitura delle olive bacate

In cucina l’olio di oliva veniva usato per condire ed esaltare piatti semplici come polenta e fagioli o per mettere gli avanzi sott’olio, così che durassero più a lungo. Gli antichi legionari romani si cospargevano il corpo di olio per proteggersi dal freddo, per lenire le irritazioni cutanee e le ustioni. Si stima che nell’antica Roma ogni abitante consumasse all’incirca due litri ad olio al mese.

Altre testimonianze archeologiche arrivano dalle necropoli Etrusche di Cerveteri e Tarquinia. Nella Tomba delle Olive, 570 a.C., è stata rinvenuta una caldaia contenente noccioli di olive.

La bottiglia d’olio più antica al mondo è stata rinvenuta ad Ercolano. Sepolta dal 79 a.C. fino al 1738, recenti studi pubblicati sulla rivista NPJ Science of Food hanno permesso di verificare l’identità molecolare del contenuto per anni sconosciuto. Alberto Angela, in seguito ad uno speciale presso i depositi del MANN dove è custodita la bottiglia, ebbe l’intuizione di far analizzare il composto ormai addensato.

L’olio d’oliva nel Medioevo e Rinascimento

Dal V secolo d.C. si susseguirono guerre e carestie. Le produzioni cominciarono a calare ed il commercio dell’olio si bloccò. Il caldo dell’epoca romana cedette il passo a stagioni più aspre che spinsero le popolazioni nordiche verso il sud dell’Europa. In alcune zone dell’Umbria e della Toscana le temperature scesero fino a   -19 gradi. Il mix culturale che ne derivò incise nella tradizione culinaria. I condimenti divennero più popolari e all’olio si preferì il burro o il lardo. A tenere in vita le coltivazioni di ulivi i monaci che spinsero per l’olio di oliva non tanto per gli usi culinari, ad eccezione dei periodi di quaresima, ma per i riti solenni.

Nel 1300 si tornò l’olio di oliva grazie alle Repubbliche Marinare, Venezia in primis. Si ripresero le rotte marittime del tempo dei romani e l’olio di oliva tornò ad essere strumento politico attraverso specifiche legislazioni. Per i trasporti vennero costruite apposite navi in grado di trasportare 500 botti d’olio ogni viaggio. Nel 1400 l’Italia si attesta prima produttrice d’olio di oliva nel modo.

Durante il Rinascimento si ha un ritorno del burro e lardo nell’uso culinario. Cambia la cucina, molto più speziata al punto di prediligere i grassi animali. L’olio viene impiegato nelle fritture, in particolar modo di pesce, per l’illuminazione e per il settore tessile.

L’olio d’oliva nel Novecento 

L’inizio del ‘900 è contraddistinto da una serie di gelate e una forte migrazione del sud Italia. Le coltivazioni di ulivi vennero lasciate a sé per via dello spopolamento delle zone ma per lo stesso motivo nuove coltivazioni cominciarono a sorgere in America e Australia per mano degli italiani partiti in cerca di fortuna verso nuove terre.

In Italia il mercato dell’olio di oliva ebbe una battuta d’arresto a causa della sansa di olive. Gerolamo Gaslini, titolare di un’azienda produttrice di olio di semi, attraverso conoscenze con i vertici del regime fascista riuscì nella commercializzazione della sansa di olio, un tempo considerata un rifiuto destinato alla concimazione. La conseguenza fu il crollo del prezzo dell’olio di oliva, vittima della concorrenza sleale dell’olio di semi e di sansa. Nonostante alcuni interventi legislativi per riparare la drammatica situazione, la guerra non favorì il ritorno dell’olio di oliva. Nel secondo dopoguerra fu l’industriale oleario e presidente Confindustria Angelo Costa (nonché padre di quella che oggi è la compagnia di navigazione Costa Crociere) a ristabilire l’ordine degli oli. Grazie a lui, l’olio vergine venne inserito nella categoria olio di oliva mentre l’olio di sansa venne declassato a semplice olio commestibile.

L’olio di oliva all’estero

L’olio d’oliva resiste e persiste in tutte quelle terre dove la tradizione olivicola ha radici profonde. I maggiori produttori, per quanto riguarda l’Unione Europea sono Spagna (leader mondiale), Italia, Grecia, Portogallo e Francia. Fuori dal vecchio continente vi sono invece Tunisia, Turchia, Siria e Marocco. In Europa del Nord così come in molte zone dell’America si continuano a prediligere oli di mesi o grassi animali. Per tale motivo i paesi elencati sono al tempo stesso i maggior produttori e consumatori di olio di oliva.

L’olio di oliva ai giorni nostri

L’importanza e la centralità della dieta mediterranea hanno permesso all’olio di oliva di essere il prodotto cardine dell’alimentazione. Stimato nel mondo e ricercato in termini di qualità, l’olio di oliva italiano gode di ottimi primati. La cultura del Bel Paese nella coltivazione dell’ulivo riecheggia tutt’ora nel mondo con volumi di crescita in espansione sia per quanto riguarda le esportazioni che per i consumi in loco. La grande sfida del futuro sarà educare alla cultura della qualità dell’olio extravergine d’oliva le nuove generazioni.